Il mare, l’antico padre, misterioso e mutevole universo mai uguale a sé stesso, custode di leggende senza tempo, d’ inconoscibili segreti, dimora di mostri abissali e di fantasmi di uomini perduti nei flutti, rappresentazioni delle nostre paure, dei dubbi contradditòri, di vita e di morte, di dominatori e vinti, di coraggio e viltà, di solido ed incerto. Il mare parla da sempre un linguaggio intuitivo ed illogico, comprensibile solo da chi con il mare vive o ha vissuto con complicità, con affinità speciale, condividendo con esso tempo e sentimenti, felicità e tristezza, sgomento e confidenza, ammirazione e paura, giovinezza e vecchiaia, e da coloro che dal mare hanno ricevuto sostentamento e che ad esso si avvicinano avendo imparato a rispettarlo, a temerlo con ragionevolezza ed a guardarlo con occhi affascinati, con animo mai sazio di conoscenza, del sapere della scienza e del sapere irreale e disposto pure ad accettare il fascino dell’ inspiegabile, dell’ immaginifico non visibile, animo audace, capace comunque di proiettarsi nell’ OLTRE sconosciuto, nella fantastica rappresentazione evocata da racconti di viaggiatori, dalla fantasia di narratori, insomma con animo sensibile alla fascinazione dell’ ignoto. Cosa ci sarà oltremare? I favolosi tetti d’ oro di Gerusalemme, gli straordinari tesori di Bagdad, le ricchezze di mercanzie, di spezie, le stoffe di damasco e seta, oro e preziosi, i profumi e le essenze e le magnificenze del Catai. Lecite opportunità, ma accanto a queste, la sete di dominio e di conquista : “ Partite tutti, nobili e straccioni, con le armi crociate in Terrasanta “. Solcato da mille e mille bastimenti, da sempre il mare ha unito e non diviso sponde lontane e civiltà diverse. Inconsapevolmente, sulle navi onerarie hanno viaggiato infiniti tesori di sapienza, di scienza, d’ arte e di filosofia. Le navi di ritorno d’ oltremare han portato in Europa le nozioni del calcolo numerico, l’ algebra, la chimica e la medicina sistematica, hanno portato in Spagna ed in Italia Averroè, Avicenna e la letteratura delle “Mille e una notte” e l’ arte di Granada e di Palermo, di Toledo, Cordova e Salamanca.
Se dal particolare è concesso di risalire a rappresentare l’ universale, e viceversa, ebbene, quando sento parlar di mare immediatamente mi si raffigura nella mente il mio mare, quello di cui riconosco il meraviglioso sistema di eterno divenire, cui attribuisco anima e voce e perfino il linguaggio, umori e sentimenti, e ne riconosco la quietitudine serena e lo straziante turbamento della tempesta, la bellezza nel giorno, il fascino insicuro nella notte. Di questo mare e di tutte le sue sponde, conosco ogni caletta ed ogni anfratto, percorsi più e più volte a passo lento. So dove nasce il sole, dove più splende e poi dove tramonta. Conosco la sua luce e i suoi riflessi, i luoghi d’ombra dove per incanto volentieri ha rifugio il mio pensare. Conosco il silenzio della luna sul golfo, lo sciacquio di remi e di risacca, il danzar della barca alla sua boa ed i suoni del vento, tremiti di sartie spoglie di vele.
Non è mutevole il tempo in questo golfo: così come comincia il giorno ha fine. E il rumore profondo, lento e ritmato delle onde sottili sul litorale umido e salato sembra il passo dei vecchi quando finisce il viaggio, il respiro morente di un vecchio marinaio ormai stremato. Mi son trovato spesso in altri mari, i mari dei Vichinghi e dei Normanni : sono mari ostili che incutono timore. Difficilmente si può essere amici di questi flutti, di queste acque scure, quasi nere anche nel giorno pieno, mentre al mio mare, che mi è stato culla, affiderei serenamente anche me stesso, anche quando veemente si sconvolge e poi rabbioso assale la scogliera. E mai mi sazia la liquida sinfonia delle sue voci, chè da mattino a sera ho sulla pelle il suo umore salmastro e nelle orecchie il suono di risacca.
Egidio di Spigna